La Cassazione chiarisce che precedenti illeciti che abbiano già alterato l’estetica dell’edificio non legittimano la realizzazione di una veranda senza il permesso del condominio
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 22156/2018 ribadisce che la realizzazione di una nuova veranda altera sempre l’estetica dell’edificio, pertanto deve essere autorizzata dal condominio e a nulla valgono precedenti illeciti che abbiano già leso l’aspetto dello stabile.
I fatti in breve
La proprietaria di un’unità residenziale, all’interno di uno stabile romano, costruisce sul proprio terrazzo una veranda vetrata con struttura in alluminio anodizzato bianco. Il condominio ne chiede la demolizione poiché altererebbe l’estetica del palazzo e inoltre l’opera non sarebbe stata autorizzata dall’assemblea.
La condomina nel difendersi sottolinea che:
- il manufatto no arreca alcun pregiudizio alla statica dell’edificio, ovvero danno allo stesso
- la situazione di degrado del decoro del fabbricato era dovuta a preesistenti modificazioni
- il palazzo era già dotato di verande sin dal lontano 1969, proprio nello stesso appartamento
In primo grado il Tribunale di Roma nel 2008 accoglie la domanda del condominio, volta alla demolizione della veranda costruita dalla condomina sul terrazzo di copertura.
La condomina presente allora ricorso alla Corte d’Appello la quale ha qualificato l’opera come sopraelevazione:
con superfici interamente vetrate e profili in alluminio anodizzato bianco, in evidente distonia con i ritmi architettonici del fabbricato, per l’alterazione della scansione delle aperture del prospetto, perfettamente visibile dalle strade su cui prospetta l’edificio stesso
La Corte d’Appello, rigetta quindi il ricorso ritenendo:
provata non solo la lesione del decoro architettonico dello stabile condominiale, di cui all’art. 1120 c.c., ma anche dell’aspetto architettonico, ex art. 1127 c.c..
La Cassazione, chiamata in causa dalla proprietaria, ricorda che:
- l’art. 1127 c.c. sottopone il diritto di sopraelevazione del proprietario dell’ultimo piano dell’edificio ai limiti dettati dalle condizioni statiche dell’edificio che non la consentono, ovvero dall’aspetto architettonico dell’edificio stesso, oppure dalla conseguente notevole diminuzione di aria e luce per i piani sottostanti
- l’aspetto architettonico, cui si riferisce l’art. 1127, comma 3, c.c., sottende una nozione sicuramente diversa da quella di decoro architettonico, contemplata dagli artt. 1120, comma 4, 1122, comma 1, e 1122-bis c.c., dovendo l’intervento edificatorio in sopraelevazione comunque rispettare lo stile del fabbricato e non rappresentare una rilevante disarmonia in
rapporto al preesistente complesso, tale da pregiudicarne l’originaria fisionomia ed alterare le linee impresse dal progettista, in modo percepibile da qualunque osservatore. - ai fine della tutela dell’aspetto architettonico di un fabbricato non occorre che l’edificio abbia un particolare pregio artistico, ma soltanto che questo sia dotato di una propria fisionomia, sicché la sopraelevazione realizzata induca in chi guardi una chiara sensazione di disarmonia
Il giudizio relativo all’impatto della sopraelevazione sull’aspetto architettonico dell’edificio va condotto, quindi esclusivamente in base alle caratteristiche stilistiche visivamente percepibili dell’immobile condominiale.
Per quanto riguarda le opere realizzate in precedenza, che avrebbero già compromesso l’estetica del palazzo, la Cassazione chiarisce che:
La preesistenza di una veranda, oggetto di precedente giudizio, è stata correttamente ritenuta non determinante dalla Corte d’appello, perché essa non rende certamente ininfluenti gli ulteriori fatti lesivi e, quindi, non ne può costituire valida giustificazione.
Inoltre, nel respingere il ricorso evidenzia come:
la ricorrente intende indurre questa Corte ad una rivalutazione delle emergenze istruttorie, e non ad un controllo di legittimità, sollecitando una nuova indagine di fatto rivolta a stabilire se in concreto ricorra il denunciato pregiudizio all’aspetto dell’edificio, e proponendo apprezzamenti difformi da quelli operati nella sentenza impugnata nell’esercizio del potere discrezionale del giudice di merito di individuare le fonti del proprio convincimento e valutare le prove